La Schema Therapy nasce nel 1990 ad opera di Jeffrey Young come trattamento creato per affrontare una varietà di difficoltà emotive di lunga durata e di disturbi di personalità, con prima origine nell’infanzia e sviluppo nell’adolescenza. E’ una teoria e un approccio integrato che ha attinto a molti concetti e metodi già esistenti e con una loro identità autonoma. Combina, infatti, elementi derivanti dai modelli di Terapia Cognitivo Comportamentale, attaccamento, terapia focalizzata sulle emozioni e Terapia Psicodinamica. L’assunto di fondo è che le esperienze vengono salvate nella nostra memoria autobiografica attraverso degli schemi che si formano nei primi anni di vita.
Questi schemi funzionano come dei filtri attraverso cui gli individui mettono in ordine, interpretano e prevedono il mondo. Le persone affette da disturbi di personalità hanno sviluppato schemi maladattivi e, di conseguenza, gestiscono la loro vita meno bene. Secondo Young et al. (2003), questi schemi maladattivi si sono sviluppati precocemente come risultato dell’interazione tra fattori quali:
- il temperamento del bambino;
- lo stile genitoriale della madre e del padre;
- qualsiasi esperienza significativa e/o traumatica dell’infanzia.
Gli Schemi Maladattivi Precoci (SMP) riflettono i bisogni emotivi importanti del bambino rimasti insoddisfatti e rappresentano il tentativo di questo di adattarsi alle esperienze negative, ad esempio liti in famiglia, rifiuto, ostilità o persino aggressione o abuso da parte dei genitori, dei pari o altre figure significative, mancanza di affetto e amore, supporto o cura genitoriale inadeguata, ecc. Le origini primarie dei più gravi disturbi di personalità, quindi, secondo la Schema Therapy, sono i bisogni emotivi dell’infanzia non soddisfatti, in particolare quelli riguardanti il rifiuto e l’abuso.
L’obiettivo primario è proprio quello di aiutare i pazienti a far sì che i loro bisogni emotivi primari vengano soddisfatti in modo funzionale attraverso sani rapporti interpersonali. A tale scopo, vengono utilizzate tecniche focalizzate sulle emozioni, tecniche cognitive, tecniche comportamentali e la relazione terapeutica. Attraverso il “limited reparenting”, il terapeuta cerca di soddisfare quei bisogni emotivi del paziente che non sono stati soddisfatti durante l’infanzia, rispettando i limiti sani di una relazione terapeutica.
Gli Schemi Maladattivi Precoci spesso vengono mantenuti poiché i pazienti evitano le situazioni che potrebbero correggerli, oppure perché vanno alla ricerca di persone che confermano i loro schemi, oppure perché non vedono le informazioni che potrebbero smentire i loro schemi. Questo comportamento viene appreso sin dall’infanzia perché permette di sopravvivere alle difficoltà o alle situazioni minacciose. Se a quel tempo però queste modalità potevano rappresentare il modo migliore per affrontare determinati contesti, nella vita attuale del paziente sono ben lontani dall’essere ottimali. Sono stati individuati 3 modi di affrontare gli schemi, chiamati anche stili di coping:
- la resa;
- l’evitamento;
- l’ipercompensazione.
Nel breve termine questi stili sono in in grado di fornire un po’ di sollievo, ma nel lungo termine portano a significative difficoltà in aree determinanti della vita quotidiana.
Infine, i Mode, ovvero lo stato predominante di un determinato momento, quindi i pensieri, le emozioni e i comportamenti di un soggetto in un preciso istante, sono parti di sé che non sono state totalmente integrate. Quando i bisogni primari non sono soddisfatti e gli schemi vengono attivati, il soggetto entra in mode maladattivi. Vi sono 4 tipologie di Mode:
- i Mode innati del Bambino;
- i Mode di Coping Maladattivi;
- i Mode del Genitore Interiorizzato;
- il Mode dell’Adulto Sano.
È importante valutare i Mode, osservandoli durante la seduta e attraverso la discussione di eventi capitati fuori dal setting e insegnando a monitorarli riconoscendo i segnali per ognuno. In questo modo i pazienti possono comprendere più pienamente perché reagiscono così diversamente rispetto a un’ampia gamma di situazioni di vita e possono, quindi, gradualmente imparare modi più sani di gestire ciascuno di essi.
Riferimenti
Young, J.E., Klosko J & Weishaar, M.E. (2003). Schema Therapy: a Practitioner’s Guide. New York: Guilford Press
van Vreeswijk, M., Broersen, J. & Nadort, M. (Eds) (2012). The Wiley-Blackwell Handbook of Schema Therapy. Theory, Research, and Practice. Wiley-Blackwell