Introduzione
Il trauma è una dimensione psicopatologica trasversale, coinvolta nell’eziologia di diversi disturbi psichiatrici e molto spesso disagio nucleare degli stessi.L’attuale classificazione nosografica, che si basa sul Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5:American Psychiatric Association, 2013), alla quale converge anche l’ultima versione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11), concentra però la trattazione del trauma all’interno di una categoria diagnostica, il disturbo post traumatico da stress (PTSD). Precedentemente inserito tra i disturbi d’ansia, oggi il PTSD è collocato in una nuova categoria, denominata“disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti”. All’interno di questo gruppo ricadono disturbi legati al trauma e disturbi legati a stressor (qualunque stimolo generante stress nell’organismo bersaglio). I disturbi che il DSM-5 raggruppa nella suddetta categoria sono:il disturbo reattivo dell’attaccamento, il disturbo da impegno sociale disinibito, il disturbo post-traumatico da stress (PTSD, che comprende anche il PTSD dei bambini < 6 anni), il disturbo da stress acuto, i disturbi dell’adattamento (specificando se con umore depresso, con ansia, con ansia e umore depresso misti, con alterazione della condotta, con alterazione mista dell’emotività e della condotta, o non specificati), il disturbo correlato a eventi traumatici e stressanti con altra specificazione e il disturbo correlato a eventi traumatici e stressanti senza specificazione. La fisiopatologia ipotizzata, per quanto possa condividere sentieri neurobiologici comuni, differisce da disturbo a disturbo e conseguentemente anche l’approccio terapeutico ai disturbi che compongono il corpus dei disturbi psicologici correlati al trauma, potrà differire. Ad oggi nella letteratura internazionale non sono presenti evidenze sulla farmacoterapia dei disturbi specifici dell’infanzia né di quelli senza specificazione e nemmeno di quelli considerati transitori, quali i disturbi dell’adattamento e da stress acuto; una maggiore ricerca e produzione scientifica è stata dedicata piuttosto al solo PTSD dell’adulto.
I trattamenti farmacologici sperimentati in prima linea nel PTSD sonoi farmaci antidepressivi, data l’ampia comorbidità con il disturbo depressivo maggiore e con i disturbi d’ansia (in particolare disturbo d’ansia generalizzato e il disturbo di panico), tutti altamente responsivi a questa classedi farmaci.La terapia antidepressiva, com’era ipotizzabile, ha mostrato una certa efficacia nella riduzione dei sintomi depressivi ed ansiosi che fanno parte del corteo sintomatologico del PTSD, rivelandosi però inattiva sui sintomi specifici del PTSD, quali l’attivazione emotiva, secondaria all’intrusione improvvisa dell’evento traumatico nell’ideazione e nella percezione del paziente, l’ipervigilanza, i flashback, gli incubi, l’evitamento, il disagio nella sfera professionale e relazionale e le strategie fallimentari che il paziente adotta nel tentativo di lenire la propria sofferenza, tra cui l’assunzione di alcol o sostanze stupefacenti.
Gli antidepressivi sono una classe eterogenea di farmaci e usano come meccanismo principale l’aumento della trasmissione sinaptica serotoninergica e noradrenergica, ma anche dopaminergica. I primi antidepressivi ad essere sviluppati sono stati negli anni ‘50 del secolo scorso, gli inibitori delle monoamino ossidasi (IMAO) e i triciclici (TCA), che in origine erano intesi a trattare le psicosi come la schizofrenia, ma che successivamente si sono rivelati in possesso diproprietà antidepressive. Delle IMAO la sola molecola utilizzata nel trattamento del PTSD è stata la fenelzina, poi risultata inefficace (Lerer et al., 1987). Tra iTCA, invece, l’imipramina è risultata proponibile e l’amitriptilina potenzialmente dannosa (Charney et al., 2018). Gli altri farmaci del gruppo, come la doxepina e la clomipramina, non sono stati sperimentati nel PTSD, che,d’altra parte,è stato introdotto come entità nosografica solo nella terza edizione del DSM nel 1980. Di lì a breve ci sarebbe stata l’introduzione degli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI: la fluoxetina, la fluvoxamina, la paroxetina, la sertralina, il citalopram e l’escitalopram) e degli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI: la venlafaxina e la duloxetina); entrambe queste classi di antidepressivi hanno trovato un’ampia sperimentazione nel PTSD. Tra questi farmaci la sertralina, la paroxetina e la venlafaxina, hanno ottenuto la raccomandazione delle linee guida VA/DoD del U.S. Department of Veterans Affairs (2017), mentre per il citalopram l’evidenza è contraria all’utilizzo e per l’escitalopram nulla.
Anche altre linee guida, quelle dell’American Psychiatric Association (2004-2010) e dell’American Psychological Association (2017) raccomandano gli stessi antidepressivi, mentre le linee guida europee (NICE, 2018) escludono la paroxetina dagli antidepressivi consigliati, a causa dei possibili fenomeni da sospensione. D’altra parte, l’approvazione da parte della Food and Drug Administration per il trattamento farmacologico del PTSD è stata ottenuta esclusivamente dalla paroxetina e dalla sertralina (Kelemendi et al, 2016). Entrambe le molecole si sono mostrate capaci di ridurre i sintomi del PTSD, ma raramente hanno mostrato tassi di risposta superiori al 60% e non oltreil 30% dei pazienti hanno raggiunto la remissione clinica (Berger et al., 2009). Va inoltre considerato che SSRI e SNRI non risultanosempre tollerabili a causa degli effetti avversi (disfunzioni sessuali, aumento di peso, disturbi del sonno), che ne limitano ulteriormente l’utilizzo. Da 15 anni a queste parte, le raccomandazioni per la farmacoterapia del PTSD in genere e,in particolare relativamente all’utilizzo degli antidepressivi, sono rimaste pressoché invariate, a dimostrazione dello scarso investimento scientifico volto alla comprensione della fisiopatologia del PTSD e alla conseguente sperimentazione farmacologica (Krystal et al., 2017).
Relativamente ad altri farmaci antidepressivi non sono state diffuse specifiche raccomandazioni all’utilizzo, ma indicazioni di possibile utilità, mancanza di evidenza di utilità o addirittura evidenza contraria. Per l’antagonista specifico dei recettori della noradrenalina e della serotonina (5-HT2A e 5-HT2C) mirtazapina, l’evidenza globale è quasi nulla, anche se questo farmaco ha mostrato di poter ridurre gli incubi in pazienti affetti da PTSD. D’altra parte, ci sono anche evidenze con la stessa mirtazapina della comparsa di incubi in pazienti affetti da depressione maggiore, per cui la reale utilità di questa molecola nel trattamento del PTSD non è stata ancora chiarita. Anche l’inibitore della ricaptazione della noradrenalina e della dopamina bupropione non ha evidenziato particolare utilità nel PTSD. Il trazodone, in associazione agli SSRI ha mostrato un miglioramento della sintomatologia depressiva comorbida al PTSD e un’azione positiva sugli incubi notturni,è stato comunque sconsigliato in monoterapia (Shin & Saadabadi, 2019). Qualche evidenza favorevole è presente anche per l’analogo del trazodone,il nefazodone, un prodotto fenilpiperazinico dotato di proprietà inibenti la ricaptazione della serotonina.
Gli Anticonvulsivi
I farmaci stabilizzanti anticonvulsivi, come la lamotrigina, la carbamazepina, il pregabalin, il gabapentin, la tiagabina, il topiramato e il valproato,nei pochi studi scientifici dedicati al loro impiego nel trattamento del PTSD, sono risultati inefficaci o da evitare. D’altro canto l’esperienza clinica ha mostrato come l’utilizzo dialcune di queste molecole(valproato, lamotrigina, carbamazepina)possa portare a un contenimento dell’impulsività e dell’ipervigilanza, agendo sulla disregolazione emotiva, mentre l’uso di altre, gli alfa-2 ligandi pregabalin e gabapentin, attraverso l’azione diretta sul dolore neuropatico, spesso presente nei pazienti affetti da PTSD, contribuirebbe a ridurre l’impatto dello stimolo stressante sulla memoria e sull’umore e smusserebbe il meccanismo di condizionamento della paura, attraverso un «sollievo» diretto per la memoria corporea.
In merito agli antipsicotici sono state sperimentate le molecole di II generazione in particolare olanzapina e risperidone con qualche risultato sui disturbi comorbidi di tipo psicotico, con funzione adiuvante in senso antidepressivo, o per trattamento del pensiero ruminativo, spesso presente nei soggetti colpiti da trauma. Proprio per la possibile utilità in questo senso il risperidone in aggiunta alla terapia con SSRI è stato recentemente raccomandato dalle linee guida europee (NICE 2018).
Farmaci non psichiatrici
Altre categorie farmacologiche “non psichiatriche” utilizzate nel trattamento del PTSD sono i farmaci antiadrenergici (alfa e beta), che dovrebbero agire sulla riduzione dell’ipervigilanza, flashback e sintomi dissociativi. Tra questi l’antipertensivo alfa1 bloccanteprazosina è stato largamente usato in passato nel trattamento degli incubi notturni (Charney et al., 2018), ma attualmente riconsiderato come inefficace (Raskind et al, 2018). Tra gli alfa 2A adrenostimolanti, la guanfacina, non è considerata utile, mentre la clonidina si è mostrata capace di bloccare il consolidamento della rievocazione dei ricordi sgradevoli in studi sulle reazioni da stress effettuati su modelli animali (Gamache, Pitman, & Nader, 2012). Tra i beta-adrenergici invece spicca il propranololo, che ha la la capacità di ridurre i sintomi autonomici (tachicardia, tremore), “abbassando il volume” della memoria corporea traumatica e che in soggetti adulti sani si è mostrato più efficace del placebo nel bloccare la fissazione dei ricordi emotivi (Lonergan et al, 2013).
Conclusione
Concludendo, le più complete e recenti revisioni della letteratura (Davis et al., 2015; Charney et al., 2018) concordano nell’evidenziare come gli interventi psicofarmacologici sulla “dimensione trauma” mostrino effetti terapeutici piuttosto contenuti, con effect size esiguo e come risultino di limitata utilità quando non associati a percorsi psicoterapeutici. In tal senso è necessario tenere conto come tutte le linee guida internazionali identifichino nella psicoterapia il trattamento di elezione per il PTSD. L’apporto farmacologico può essere ritenuto un ausilio al trattamento di questa categoria di disturbi; solo ulteriori studi di approfondimento sul meccanismo fisiopatologico alla base del trauma (come ad esempio sul sistema degli endocannabinoidi), potranno favorire, in futuro, lo sviluppo di strumenti farmacologici mirati e maggiormente efficaci. Ad oggi l’intervento ideale è rappresentato dall’associazione della psicoterapia con un trattamento farmacologico personalizzato per ogni paziente, che possa ridurre il volume di una sintomatologia unica e diversamente penosa per ciascun individuo affetto.
Riferimenti bibliografici
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Documento a cura della dott.ssa Ilaria Cuomo, psichiatra